Smog: la Pianura Padana è in sofferenza ma il problema è altro

Tempo di lettura: 2 minuti

Clamore per le ultime rilevazioni che pongono l’inquinamento di Milano allo stesso livello di altre megalopoli che sempre hanno fatto registrare i dati peggiori.

Non è novità, che la Pianura Padana sia uno dei luoghi dove la qualità dell’aria è tra le peggiori al mondo e la peggiore d’Europa è noto a chiunque sia solito seguire il fenomeno.

Ne scrissi alcuni mesi fa, col supporto di inchieste e studi scientifici.

In ambito Europeo abbiamo il sistema Copernicus che provvede a informarci tempestivamente. I dati ci sono, da anni, quindi mi spiego poco perché tanto chiasso.

Al solito ci si concentra sul problema e non sulla soluzione.

Però è anche bene che la stampa generalista ne parli, magari evitando titoli a effetto, ma comunque come con le Zone 30 almeno possiamo dire che più persone vengono informate di quanto avviene: e questo è sempre un bene.

Non ripeto qui quanto dissi a settembre dello scorso anno, pongo la questione da una altra prospettiva, solo apparentemente auto assolutoria: non è tutta colpa nostra.

La Pianura Padana è morfologicamente e climaticamente sfavorita. 

Una sorta di catino contornato da Alpi ed Appennini con uno sbocco sul mare solo in Adriatico. In Italia di norma abbiamo correnti che solitamente arrivano da ovest o sud-ovest, talvolta da nord, ma la Pianura Padana è poco interessata perchésempre protetta. Senza queste correnti possiamo sperare nella pioggia, che è sempre meno, oppure in un aiuto dal Foehn, che spazza via le precedenti condizioni stagnanti.

Già, perché questa stagnazione spiega i valori sopra la norma.

Seppure la situazione globale sia migliorata di molto rispetto agli anni 70/80 (del secolo scorso, ma per quelli della mia generazione è come fosse ieri…) e pur volendo considerare che la maglia nera te la aggiudichi perché le altre Nazioni sono più virtuose, nella classifica globale il quadro resta drammatico.

“L’inquinamento dell’aria è la prima causa di morte prematura in Europa”. Nicola Pirrone, per un decennio direttore dell’Istituto per l’inquinamento atmosferico del Cnr, cita l’ultimo rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente: 253mila vittime in Europa nel 2021 per colpa del particolato fine pm2.5. Altre 52mila per il biossido di azoto e 22mila causate dall’ozono. In Italia si contano rispettivamente 47mila, 11mila e 5mila morti ogni anno. 

Senza dimenticare lo studio dei ricercatori del King’s College di Londra hanno scoperto che hanno stabilito come l’esposizione all’inquinamento atmosferico è associata a un aumento dell’uso dei servizi di salute mentale da parte delle persone con demenza.

E la ricerca della Keck School of Medicine della University of Southern California, pubblicata sulla rivista Environment International, che ha dimostrato come l’inquinamento, anche a livelli ritenuti sicuri dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) degli Stati Uniti, può alterare lo sviluppo a lungo termine della funzione cerebrale negli adolescenti.

Insomma, i danni ci sono e sono conosciuti, seppure si preferisca spesso ignorarli.

Con uno sguardo al cielo, dando la colpa al meteo bizzarro: come se anche questo non fosse causato dal repentino riscaldamento globale, la cui velocità sta mettendo in crisi tutto il mondo senza eccezioni.

Con una scrollata di spalle, dando la colpa ai monti che impediscono ai venti di circolare.

“La gente deve lavorare” il claim ripetuto all’infinito, qualunque sia il problema che non si vuole affrontare.

Invece proprio la particolarità della Pianura Padana deve farci capire due cose: ogni luogo richiede il suo approccio tipico, se inquini di meno risolvi buona parte dei problemi.

La seconda appare banale ma non lo è: logica, basilare ma è quanto la comunità scientifica afferma da tempo.

Come fare non è compito mio, io sono il cronista non lo scienziato.

Ma è evidente come il modello di sviluppo degli ultimi decenni ha fallito molti obiettivi, sul clima anzitutto.

Non sogno quella sciocchezza della decrescita felice, altro slogan vuoto.

Spero, anzi speravo, molto nel Green Deal Europeo.

Che invece in questa settimane ha abdicato.

Per opportunità politica, un eufemismo per indicare il timore di perdere le elezioni.

La clamorosa marcia indietro della Commissione in seguito alle proteste degli agricoltori, seppure avvenuta dopo il dissenso del Parlamento UE, mostra tutta la fragilità dell’Europa in questo momento storico.

Dopo la formidabile prova di forza nella gestione della pandemia, quando l’Unione ha saputo muoversi come un sol uomo, e un duro approccio all’aggressione Russa, favorita dalla presenza di autorevolissimi esponenti poi defenestrati per meschini calcoli elettorali, siamo a uno dei punti più bassi dell’altalenante storia di questo visionario progetto.

Il 2024 è un anno particolare, il mondo è tutto in campagna elettorale. Molte Cancellerie cambieranno colore, i sondaggi danno favoriti partiti e movimenti che attaccano i temi ambientali, a Est si va consolidando un blocco che punta all’indebolimento dell’Ovest, i Paesi del Golfo sono ormai protagonisti sullo scacchiere geopolitico e non più semplici fornitori (ben remunerati) di materie prime, l’Africa malgrado i proclami bipartisan è sempre più terra di conquista, le tensioni internazionali non sono mai state così aspre da un secolo o giù di lì.

Il Green Deal o comunque vogliamo chiamarlo ha un costo: economico e sociale.

Un costo che i Governi non vogliono affrontare con le elezioni alle porte.

Eppure non serve essere studiosi dei flussi elettorali per sapere che è inutile per un partito comportarsi come l’avversario: uno vota l’originale, non l’imitazione.

Cosa c’entra con l’inquinamento nella Pianura Padana? C’entra, perché ci fa comprendere molte cose.

La prima è che ogni luogo ha sue peculiarità, quindi la soluzione buona per la Germania o la Polonia non è applicabile in contesti diversi.

La seconda è che la lotta all’inquinamento ha un costo e sembra nessuno abbia voglia di affrontarlo.

La terza è che non basta lamentarci ma dobbiamo accettare che parte di quel costo gravi su di noi.

E fin qui nulla di nuovo posso dire.

La novità è l’uso che sul piano geopolitico si sta facendo delle varie crisi degli ultimi anni, da quella sanitaria e quella ecologica.

Combattere l’inquinamento ha costi che inevitabilmente indeboliscono le Nazioni, richiede investimenti che non possono essere usati altrove, crea scontento nelle popolazioni, è facile cavalcare il malcontento come stiamo vedendo in questi giorni.

L’Europa è sempre stata capofila in queste battaglie, ora sta abdicando anche lei. Indebolendosi. Una Europa forte non la vuole nessuno, a Est come a Ovest.

La situazione della Pianura Padana diventa così campanello d’allarme non solo per l’inquinamento ma per ciò che l’inazione provocherà in futuro.

Buone pedalate

Ps: aggiungo una nota dopo la pubblicazione. Rileggendo mi fa strano la naturalezza che ho provato nello scrivere Est e Ovest per indicare la contrapposizione tra due blocchi. Diversi geograficamente da quelli del dopoguerra ma che si presentano quasi ugualmente monolitici. Non immaginavo avrei ripescato con tanta facilità locuzioni che non usavo più da 30 anni.

COMMENTS

  • <cite class="fn">Massimiliano Miselli</cite>

    Ciao Fabio, concordo con te sulla visione, posso solo dare un contributo in aggiunta alla tua analisi, da funzionario pubblico che lavora da anni sui temi ambientali in Emilia. Il problema del catino padano è ben noto, almeno agli addetti ali lavori, da almeno 25 anni, le analisi, gli studi, le centraline di monitoraggio dicono sempre la stessa cosa praticamente da sempre, da quando ci sono. In inverno nel periodo novembre-marzo l’inquinamento sale ben oltre i limiti comunitari e per questo siamo soggetti a procedure d’infrazione. Il fatto è che al di là della facile indignazione il problema è assai difficilmente aggredibile. La pianura padana è uno dei luoghi più densamente abitati d’Europa (d’altronde è l’unica vera pianura della penisola, con tanta acqua a disposizione), è chiusa come ben hai descritto nel tuo articolo dalle Alpi a nord e dalla catena appenninica ad ovest e sud che formano una sorta di pentolone dove gli inquinanti ristagnano. Molti anni fa, nei 70, alla trasmissione condotta da Enzo Tortora “Portobello” un visionario inventore/scienziato propose di abbattere la montagna del Turchino per far entrare aria con lo scopo di far sparire la nebbia in val padana (allora il problema era la nebbia……!). E’ stato calcolato, tempo addietro, che anche “spegnendo” l’intera Emilia-Romagna i livelli delle polveri fini (questo è un inquinante, non l’anidride carbonica che non è un inquinante pur se responsabile dei cambiamenti climatici) non sarebbe sceso che di poco, tanto sarebbe stato comunque l’influsso della Lombardia e del Veneto. E l’inquinamento padano è dovuto dal riscaldamento domestico, dal traffico veicolare (motori a combustione, ma anche pneumatici, pastiglie dei freni, ecc.) e dall’industria. Il problema è enorme, veramente gigantesco. Purtroppo con i miei 62 anni alle spalle ho, ha volte la sensazione, per non dire la contezza che la tecnica risolve un problema ambientale ma ne provoca contestualmente altri. Sono pessimista, e senza arrivare a tornare alla serate nelle stalle a giocare a briscola al lume di candela mentre le canotte sudate si asciugano sul culo delle mucche, penso proprio che meno consumi assurdi e un po’ di decrescita sarebbe veramente necessaria.
    Ciao
    max

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Massimiliano, grazie per il tuo prezioso intervento, frutto di conoscenza del fenomeno.
      Che purtroppo come dici è ben noto, ne scrissi lo scorso anno più in dettaglio, oggi mi stupisce che faccia notizia.
      Sicuramente dobbiamo cambiare modello di sviluppo, ma quanti sono disposti a pagarne il prezzo?

      Fabio

Commenta anche tu!